IL PARTITO DELLA GUERRA
Dopo l’attacco alla Siria da parte delle forze congiunte di America Gran Bretagna e Francia, qualcosa di importante è cambiato -e in peggio- sullo scacchiere della geo-politica. Qualcuno parla di nuova guerra fredda, ma anche i tempi sono cambiati.
LA PROVOCAZIONE
Che sia vero o meno che il governo siriano volesse un attacco alla popolazione con armi chimico-biologiche a Duma (ed è fortemente discutibile che lo sia) oramai non è più così importante: quel che conta è che l’attacco alleato (piuttosto pesante e apparentemente assai inutile) è stato sferrato ugualmente, sfidando le ire di una Federazione Russa che aveva fatto sapere senza mezzi termini che difenderà il suo partner siriano addirittura colpendo le basi da cui sono partiti i missili.
E come se ciò non bastasse il governo americano ha deciso di infliggere alla Russia nuove sanzioni commerciali, che tra l’altro è vero che nuocciono soprattutto ai suoi alleati europei, ma alla lunga portano un danno non solo alla Russia, bensì anche a tutto l’Occidente, perché la obbligano a sostituire con i paesi del continente asiatico
i suoi partner commerciali europei. Non per niente la Germania si è voluta tenere fuori dall’iniziativa militare, ma è rimasta ugualmente colpita dalle sanzioni commerciali.
SPINGERE LA RUSSIA TRA LE BRACCIA DELLA CINA
Sembra al momento improbabile che la Russia reagirà alla tenaglia militare-commerciale. Se lo facesse trascinerebbe il mondo verso un forte rischio di terza guerra mondiale, ma questo non significa che non terrà conto dell’accaduto nelle sue alleanze internazionali (con la Cina, in particolare, oramai giudicata interlocutore altamente più affidabile dell’Occidente) e non è detto che gli attuali rapporti di forza (basati sulla supremazia della macchina militare della NATO), non possano presto arrivare a cambiare.
Spingere la politica estera della Russia ad abbracciare quella della Cina (riconosciuta dagli studiosi di relazioni internazionali come il vero problema dell’Occidente nel lungo termine) potrebbe sembrare una cosa semplicemente stupida, ma probabilmente è invece voluta ed anche assai folle, perché il rischio di spiazzamento dell’Occidente negli interscambi commerciali tra la nazione più ricca al mondo di risorse naturali e quella più popolosa e più dinamica nelle nuove tecnologie è elevato. L’unica vera contropartita di tale follia può essere l’allargamento delle occasioni per far nascere nuovi focolai di guerra.
Quel che sembra rispuntare vincente dalle ceneri della diplomazia in questi giorni è infatti il cosiddetto “partito della guerra”, cioè quella coalizione trasversale e ben occultata ai media di ogni parte del mondo costituita di produttori di armi, mercanti ed esportatori di materie prime, finanzieri d’assalto e lobbisti politici, uniti dal fatto che otterrebbero tutti dei grandi profitti dalla deflagrazione di nuovi conflitti e dalle spese straordinarie di cui essi necessiterebbero.
TRUMP È UN OSTACOLO
Nella stessa direzione va probabilmente l’attacco frontale al presidente Trump, reo di non essersi messo (completamente) a disposizione del partito della guerra, pur avendo ordinato egli stesso l’attacco siriano. Che i poteri forti vicini alla fondazione Clinton volessero farlo fuori è noto, ma è più probabile che l’interminabile processo giudiziario denominato “Russiagate” non abbia come obiettivo quello di dimostrare il suo connubio con Putin (impossibile, altrimenti le prove dopo un anno e mezzo sarebbero già saltate fuori), bensì quello più sottile di deterioramento della sua immagine sui media, per riuscire costringerlo -nel dubbio- a guerreggiare con quest’ultimo, anche per dimostrare la sua estraneità alle accuse.
Trump non è stupido e si rende perfettamente conto del pericolo di un conflitto allargato (a partire dagli effetti al rialzo che potrebbe avere sul prezzo del petrolio) e del fatto che ci sono dietro le quinte forti interessi economici in tal senso, ma resta tutto da vedere cosa possa farci per ostacolarne la possibilità.
Non per niente sulla vicenda della Corea del Nord Trump ha appena fortemente voluto e alla fine ottenuto una vittoria significativa proprio nel dialogo con la Cina (da sempre l’alleato occulto di Kim Yong Un), ed ha anche invitato Putin a sedersi ad un tavolo comune per evitare l’escalation militare.
Ma conciliare lo spirito patriottico (che ha sempre più necessità di dimostrare) con l’esigenza di ridurre le tensioni internazionali è un esercizio notoriamente assai difficile. E non è detto che gli porterà consenso aggiuntivo tra i suoi elettori alla prossima tornata…
Stefano di Tommaso