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L’OCCUPAZIONE ITALIANA TORNA A CRESCERE

Il numero totale di italiani al lavoro è tornato a superare, per la prima volta da prima della crisi, i 23 milioni. Più in dettaglio nel 2016 sono stati creati quasi 300 mila nuovi posti di lavoro, principalmente tra la classe demografica di coloro che hanno superato i 50 anni.

È un importante risultato il cui merito ovviamente, viene rivendicata dal governo Renzi/Gentiloni, e a cui invece Brunetta (a nome dell’opposizione intera) fa eco ricordando che il dato è “drogato” dagli incentivi, al cui termine (un triennio dall’assunzione) e che buona parte di quei posti di lavoro grazie ad essi creati potrebbero essere dismessi.

Giova anche ricordare che la prima metà dell’anno per il comparto industriale del Paese è stata particolarmente positiva (con incrementi superiori a quelli di tutti gli altri paesi europei), prima però che la divisa comune raggiungesse la vetta del cambio attuale, con il rischio dunque che la bonanza che vediamo, oggi trainata soprattutto dal turismo e dalle esportazioni, non continui nemmeno fino a fine anno.

Molto resterebbe da commentare viceversa sul dato assoluto: quei 23 milioni totali di lavoratori attivi a vario titolo, che non solo non raggiungono il 38% della popolazione totale italiana, ma che denunciano ampi strati di attività sommersa e di assistenzialismo se interpretati più in dettaglio: i 5 milioni di immigrati (freschi e regolari) lavorano quasi tutti!
Se dunque facciamo i conti senza di loro e sottraiamo quel numero ai 23 milioni di occupati e ai 61 milioni di residenti, la proporzione cambia ancora in peggio: 18 milioni di italiani originari su un totale di 56 milioni fa appena il 32% del totale: come dire che più di due italiani su tre godono di qualche forma di assistenzialismo, dato anche il fatto che la natalità infantile (e dunque la quota di giovanissimi sul totale della popolazione) è ai minimi di sempre!

Un discorso simile andrebbe fatto anche a proposito della disoccupazione giovanile, circa la quale ci sono miglioramenti ma che resta feroce, per non parlare poi del crescente divario tra nord e sud del Paese, perché il dato statistico totale ovviamente è la risultante di una media trilussiana, fatta di poderose crescite nell’area industriale del Paese e di corrispondente decrescita al sud, di maggiore occupazione dei cinquantenni e di un notevole numero di nuovi posti di lavoro a basso e bassissimo reddito.

In totale comunque il dato preciso non è comunque così confortante: il tasso di disoccupazione italiano di Luglio, dell’11,3% si confronta con una media europea (che comprende tutti, anche i membri più in difficoltà) del 9,1%. Quasi il 25% in più!

Senza contare che ancora l’Italia non ha risolto il suo grosso problema relativo al deficit della spesa pubblica (di nuovo: usualmente e proditoriamente indicato dai media in percentuale del P.I.L. che è una misura di raffronto ammontante a poco meno del doppio della spesa pubblica e che quindi altera significativamente la percezione della realtà del deficit -molto maggiore- rispetto alla spesa stessa). Dove sarebbe oggi la disoccupazione senza lo smisurato esercito di impiegati della Pubblica Amministrazione il cui numero in certe regioni italiane ha generato primati da Guinness?

Il deficit di spesa fa tra l’altro si che il debito pubblico continui ad aumentare (e toccare nuovi record) e pertanto getta un’ombra sinistra sulla capacità futura del governo italiano di avere successo nel collocamento dei titoli di Stato, una volta privo dell’ombrello protettivo della B.C.E. Se quella capacità precipita, la situazione economica italiana peggiora in un istante, avvitandosi in aumenti dei tassi di interesse e strette creditizie che a loro volta determinerebbe altrettanto velocemente l’ulteriore e definitiva insostenibilità del debito.

Se basta così poco per passare dalla speranza di un riscatto (anche dell’occupazione) ad una vera e propria nuova crisi economico-finanziaria simile a quella vista in Grecia, cantare oggi vittoria per noi Italiani non sembra essere una cosa razionale ma soprattutto, come mostra l’immagine qui allegata, Gentiloni ha avuto diversi scomodi predecessori: Berlusconi, Monti, Letta e Renzi, tutti avevano dichiarato lo stesso risultato prima di averlo consolidato e senza che nessuno di essi lo abbia mai traguardato.

Speriamo che le cose cambino, ma per cambiarle occorre favorire lo sviluppo degli investimenti e, con essi, occorre un deciso salto in avanti per l’occupazione “qualificata”, quella cioè che potrà permettere agli italiani innanzitutto, prima che agli immigrati alla ricerca di qualsiasi posto di bassa manovalanza, di poter tornare a costituire nuovi nuclei famigliari, a risparmiare e a guardare al futuro senza la necessità di emigrare o di appoggiarsi ai risparmi dei genitori pensionati!

Stefano di Tommaso