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DIAVOLO DI UN CONSULENTE!

La crescita smisurata dell’industria dei servizi di consulenza manageriale non deve impedire lo sviluppo organizzativo e gestionale.

 

Lo spunto narrativo me lo ha fornito Warren Buffet: il solito, pedante, tradizionalista saggio capitalista che spesso e volentieri ci ricorda i buoni vecchi consigli della nonna, sempre validi appunto, come dimostra la strabiliante fortuna che egli ci ha costruito sopra nell’applicarli alla vita quotidiana.

LA MALEDIZIONE DI WARREN BUFFETT

Warren Buffett nell’ultima convention dei suoi azionisti (un vero e proprio festival, come riportato nel mio articolo: http://giornaledellafinanza.it/2017/05/07/la-woodstock-del-capitalismo/) se l’è presa con i consulenti e con le aziende che li reclutano, consapevoli entrambi di essere utili a individuare i veri argomenti-chiave che le imprese tecnologiche, manifatturiere e commerciali devono affrontare, ma colpevoli i primi di sfruttarli ai propri fini e per i propri profitti e i managers delle seconde di scansare le loro responsabilità utilizzando una forza-lavoro esterna, flessibile e capace di guardare alle dimensioni strategiche ma al tempo stesso mercenaria e teorica, impossibilitato anche ad agire come potrebbero invece fare dei funzionari interni all’azienda.

Difficile dargli torto: la pastetta del consulente e di chi lo ingaggia perché si dica che: “lo ha affermato tal de tali” e vecchia di generazioni ma sempre valida. I professori universitari ci hanno sempre ricavato lauti guadagni e i managers con la sedia che traballa ne hanno guadagnato ottimi parafulmini a futura memoria. Buffet fa notare che adesso ai consulenti sono affidate mansioni che in passato erano i dirigenti delle aziende stesse a svolgere.

L’INDUSTRIA DELLA REVISIONE HA INVASO QUELLA DELLA CONSULENZA

Come scrive John Gapper sul Financial Times: “la maledizione della consulenza si espande… quella che fino a qualche anno fa era una nicchia di mercato dominata da pochi grandi intellettuali partner di McKinsey, Boston Consulting e simili, oggi si è trasformata in un’industria che è sempre più collegata alla revisione contabile e che dunque allarga la sua base di clientela anche alle piccole e medie imprese…Il 44% delle entrate di Ernst&Young dell’anno scorso è arrivato dal lavoro di consulenza… Secondo Source Global Research, le entrate globali delle società di consulenza l’anno scorso sono cresciute del 7%, raggiungendo $133 miliardi… City UK afferma che, dei 2,2 milioni di persone che nel Regno Unito lavorano nel settore finanziario e in servizi professionali collegati, 477mila sono consulenti e 421mila banchieri”.

Ma se il business della consulenza si è “volgarizzato” perché macina ottimi risultati?

Innanzitutto perché la domanda di servizi di consulenza cresce insieme alla complessità stessa del sistema capitalistico-industriale: oggi per esempio quasi tutte le imprese hanno bisogno di far revisionare i bilanci per accedere al credito e ai capitali di rischio, capiscono di dover rivedere i propri sistemi informatici ma soprattutto si rendono finalmente conto di dover formulare una propria strategia di mercato che permetta loro di confrontarsi con la globalizzazione che avanza e che dunque le competenze interne non bastano più.

Ma cresce anche l’offerta di consulenza (e si struttura nella maggior parte dei casi in vere e proprie catene di montaggio), spesso complementare ai servizi di revisione contabile e di corretta applicazione e personalizzazione dei software utilizzati per tenere sotto controllo produzione, mercato e margini economici.
È un fiume in piena che assorbe ricchezza spesso più di quanta ne possa creare, investendo molte funzioni gestionali e tracimando talvolta anche in ogni possibile rivolo accessorio. Il problema è se ciò accade senza riuscire davvero a migliorare il management aziendale e a far mettere a punto un piano industriale vera degno di quell’appellativo, capace di verificare e indirizzare la creazione di valore per gli azionisti.

LA CONSULENZA NON PUÒ SOPPIANTARE IL MANAGEMENT

Per migliorare il management aziendale ci vogliono invece veri (e qualificati) managers, cioè decisori e persone di riferimento interne con un elevato grado di delega, un pregresso di successo e competenze acquisite in anni di studio post-universitario. Ma soprattutto ci vuole un vero “board of directors”, cioè un Consiglio di Amministrazione (CDA) che controlli spesso il management e lo indirizzi, alimentato da competenze diversificate e animato da personaggi che prescindano almeno in parte dalla famiglia del fondatore che troppe volte rimane unica azionista e che, per questo motivo, rischia di esprimere indirizzi “autoreferenziali”.

Un Piano Industriale, un Management terzo, la Revisione Contabile esterna e la presenza di un vero CDA risultano peraltro elementi essenziali se ci si vuole rivolgere al mercato dei capitali anche solo per ottenere Minibond e Finanza Strutturata, per non parlare della parte al capitale di Fondi e Investitori di Borsa.

Solo con queste premesse (a prescindere dunque dalle dimensioni aziendali) l’impresa può pianificare seriamente il proprio futuro. La consulenza andrebbe utilizzata dopo aver strutturato i suddetti organi aziendali, altrimenti è come comperare un Ferrari per scendere sotto casa a prendere il caffè. La Ferrari può essere strepitosa ma più lo è e più il suo utilizzo necessita di competenze “interne” !

UNA SOLUZIONE “PROFESSIONALE”

E per i suddetti motivi che alcune banche d’affari (come la mia) hanno deciso di proporsi sempre più spesso alle imprese per operazioni di aumento di capitale insieme a managers specializzati di settore (magari con un illustre passato in organizzazioni più importanti), per entrare in tal modo anche negli organi decisionali e assicurarsi che la crescita organizzativa dell’impresa vada di pari passo con l’incremento delle risorse disponibili e permetta di impiegarle nel migliore dei modi. Altrimenti c’è il rischio serio che le stesse mansioni gestionali vengano affidate alla consulenza, magari standardizzata.

In questo modo invece la consulenza può essere utilizzata ma con giudizio: affiancando la crescita organizzativa senza contrapposizione con lo sviluppo di competenze interne e senza impedirle. Bensì per fare solo quello che non è possibile fare altrettanto bene al proprio interno: l’analisi del contesto competitivo e strategico, lo sviluppo di nuove metodologie, l’adozione di prassi operative che si sono dimostrate vincenti altrove nel mondo.

 

Stefano di Tommaso