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La magia della quotazione in Borsa di Snapchat

Dopo cinque mesi di corsa furibonda di Wall Street e di tutte le altre borse del mondo verso livelli mai raggiunti prima dell’elezione di Donald Trump con le valutazioni giunte a vertici mai toccati nemmeno prima della crisi del 1929, non poteva mancare all’appello degli eventi conseguenti a tanta follia anche la magia di un IPO (Initial Public Offering – offerta di titoli in occasione della quotazione in Borsa) con i fiocchi.

Si tratta della classica “internet company” iperspeculativa, una società valutata per il suo debutto in Borsa qualcosa come quasi sessanta volte i suoi ricavi del 2016 e, come se ciò non bastasse, con l’assoluta novità di voler collocare ai sottoscrittori dell’offerta praticamente soltanto “azioni di risparmio”, dal momento che le medesime non avranno diritto di voto in assemblea dei soci.

Una bella scommessa, senza dubbio, nonostante ciò arrivi in un momento di mercato estremamente favorevole, non solo per l’entusiasmo e la liquidità che abbondano, ma anche per il fatto che di recente di Initial Public Offerings in giro non ce ne sono quasi state, e dunque che ci sia -tra gli operatori del mercato- più domanda che offerta di titoli in Borsa.


COS’È SNAPCHAT

Snapchat è una “app” che consente ai suoi utenti di postare dei videomessaggi che hanno la caratteristica di scomparire dopo un certo periodo di tempo.
Ideata per telefonini cari e molto smart (sui non-iPhone recenti e su quelli con poca potenza di calcolo non funziona bene), si rivolge a utenti benestanti e molto giovani (la fascia di età tipica è 18-35 anni) e residenti quasi solo in America del Nord e in Centro Europa (già in Italia è meno diffusa).

Snapchat è classificabile perciò come una sorta di “social network” d’élite, una “app” tanto sofisticata quanto, al momento, strettamente ludica, che al suo debutto attirava i teenagers perché permetteva loro di diffondere solo per qualche istante dei video dei quali avrebbero dovuto vergognarsi o che per qualche altro motivo era meglio non restassero in rete a lungo.
I paragoni più prossimi che sono stati fatti per “classificare” la tipologia di applicazione riguardano Instagram (che diffonde tipicamente foto e video personali), Twitter (la prima vera applicazione della storia recente di instant-messaging per telefonini, tanto diffusa tra il grande pubblico quanto poco redditizia per i suoi azionisti) e MySpace (un vero e proprio disastro finanziario).


LE VOCI DI MERCATO

Ed è proprio da questi paragoni che gli analisti finanziari hanno tratto i maggiori dubbi circa la mirabolante valutazione finale di ciascuna azione (senza voto) di Snapchat in offerta: 17 dollari l’una per un totale di 3,2 miliardi di dollari raccolti nel collocamento, che portano ad una capitalizzazione di borsa della società prima dell’ammissione al listino di Wall Street di ben 24 miliardi di dollari. Una cosa che poteva succedere quasi solo a New York!

Eppure la domanda di titoli in sottoscrizione è stata pari a circa dieci volte l’offerta. E la forchetta iniziale di 14-16 dollari è stata superata di slancio alzando l’asticella del primo prezzo di quotazione un dollaro al di sopra della massimo.

Il bello è che, se di un’esagerazione del mercato si tratta, è pur sempre una più che “lucida follia” di chi ha accettato la sfida, dal momento che un indubbio successo ha arriso nel collocamento al mercato agli abilissimi manovratori (e principali sottoscrittori a fermo) di Morgan Stanley e Goldman Sachs, con quest’ultima nel contesissimo ruolo di “agente per la stabilità del titolo” (da noi si chiamerebbe “specialist”).
Le voci tra gli addetti ai lavori riferiscono di una stragrande maggioranza di investitori istituzionali orientati al lungo periodo e di fondi comuni di investimento, tra i principali sottoscrittori, per giustificare tale successo, nonché della deriva iper-ottimista del mercato, ma qualche calcolo prima di convincersi i medesimi lo hanno pur fatto e non sono nemmeno in pochi.


LA VALUTAZIONE DI SNAPCHAT

E i calcoli dicono che il budget mondiale di spesa per la pubblicità sulla telefonia mobile è destinato a quadruplicare in quattro anni, dai poco più di 60 miliardi di dollari attuali a circa 200 nel 2020, ed è quella la più grande opportunità -per i gestori delle applicazioni più diffuse per i cellulari- di riuscire a monetizzare la popolarità e il gradimento raggiunti.
Da questo punto di vista Snapchat è interessante perché quel vi viene pubblicato sono quasi solo brevi video e con la sua tecnologia può dunque vantare un vantaggio su Instagram, più usata per le fotografie, sebbene quest’ultima appartenga alla galassia di Facebook, che con il suo miliardo e oltre di utenti farà sicuramente la parte del leone nell’aggiudicarsi la fetta più importante di quel denaro.

Sul fronte dei dubbiosi sulla valutazione finale viceversa circolano i dati più recenti di diffusione di Snapchat tra gli utenti, sempre in crescita dopo tre anni di vita ma con un ritmo che tende a ridursi, data anche la sua limitata popolarità nei paesi a maggiore crescita demografica. Riuscirà dunque a non deludere chi ci scommette sopra?
Qui i calcoli tra gli investitori divengono molto più sofisticati, perché parlano di una valutazione attesa di almeno 40-50 miliardi di dollari nel 2020, quando il mercato della pubblicità sul mobile avrà raggiunto la sua maturità (affinché valga la pena di averci scommesso oggi, con tutti i rischi ancora presenti). Obiettivo non facile da raggiungere ma possibile, ipotizzando una valutazione per quella data basata sugli attuali moltiplicatori di Instagram.


COSA CONCLUDERNE?

Un’offerta iniziale di titoli per la quotazione in Borsa come quella di Snapchat c’è già stata ed è andata anche molto meglio del previsto. Come si comporterà tuttavia il titolo dal primo giorno di quotazione in poi è difficile prevederlo.
Se la borsa mantiene il suo slancio attuale non potrebbe andare meglio. Ma la vera domanda è cosa succede dopo. E la risposta da questo punto di vista è ardua: da un lato il titolo apparterrà alla categoria di quelli più volatili in assoluto, ma dall’altro buona parte degli attuali sottoscrittori si è impegnato a tenerlo in portafoglio almeno per un anno e sono quasi tutti Investitori pazienti.
Che succeda quel che è avvenuto con Facebook è oggi relativamente improbabile…

 

Stefano di Tommaso