Hanno ragione i giornalisti o gli analisti finanziari?

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Secondo gli analisti finanziari la crescita economica anche quest’anno ci sarà, nonostante tutto il clamore che fanno gli oppositori di Trump, gli europeisti incalliti, i detrattori del Brexit e gli ululatori televisivi della sciagura prossima ventura che si abbatterà sull’intera Europa meridionale (a partire da una Francia che sembra destinata ad essere governata dal nuovo Trump in gonnella: Marine LePen).

Anzi, probabilmente nel 2017 la crescita sarà più copiosa e più ordinata di quella dell’anno bisesto che si è appena concluso, con minori timori di guerra termonucleare e forse anche minori focolai di terrorismo ora che l’Isis sembra orientata a una ritirata strategica.

Non è un peana indirizzato ai nuovi leader del mondo, bensì una constatazione razionale tratta dal comportamento dei mercati: in mezzo alla confusione  politica che regna sovrana nel mondo ricordiamoci che però le borse non sono quasi scese, i sistemi bancari sembrano tenere meglio del previsto, il dollaro non è cresciuto e il Renminbi non si è quasi svalutato (e quest’anno c’è da scommettere che performerà bene perché in Cina ci sarà la riconferma (scontata) di Xi Jimping che vuole riuscire a farsi acclamare dal suo popolo. La produzione industriale tiene dunque un po’ dappertutto e la disoccupazione non allarma più (anzi in America si è giunti al limite inferiore).

È possibile che un’America più forte e più efficiente come dovrebbe venire fuori in tempi ragionevoli dal nuovo corso politico possa addirittura trainare la crescita economica del resto del mondo, mentre il debito pubblico italiano è evidentemente tornato a preoccupare man mano che tornano sulle piazze finanziarie i timori di disgregazione della moneta unica europea.

Ma l’anno 2017 sembra destinato a contraddire ogni precedente correlazione tra fenomeni politici e accadimenti economici: più si teme per l’ordine costituito più l’economia sembra accelerare!

Si pensi ad esempio all’allarme disoccupazione che scaturiva dalla disgregazione industriale conseguente alla digitalizzazione del pianeta: con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale dovremmo essere ancora più preoccupati ma la verità è che invece oggi tutti si aspettano più ricchezza disponibile dalle innovazioni tecnologiche (e una parte di questa maggior ricchezza non viene conteggiata nel prodotto interno lordo, dal momento che risulta gratuita o condivisa sulla rete: c.d. “Sharing Economy”).

Il vero problema politico dei prossimi anni dunque sarà quello di realizzare un nuovo patto sociale che permetta di redistribuire anche alle fasce sociali più basse il maggior reddito (esplicito o implicito) prodotto con le nuove tecnologie. Ma è altresì improbabile che se ne occuperanno i politici del passato e che restino valide le categorie sociologiche del novecento. L’avvento di internet ha probabilmente portato più voglia di democrazia diretta nelle case dei cittadini occidentali, dai giornalisti denominata spesso “populismo”. Parola di cui invece io ho un gran rispetto, almeno sino a quando essa non si trasforma in assolutismo.

Anche su altri fronti gli analisti finanziari non sono mai stati meno allineati alla stampa prevalente circa i destini del mondo: gli stimoli monetari delle banche centrali lasceranno il posto a quelli fiscali e la spesa per le infrastrutture costituirà la nuova panacea per alimentare aspettative meravigliose oppure i timori per il debito pubblico globale spegneranno ogni entusiasmo e ci faranno cadere in una sorta di “Minsky Moment”?

Il momento della verità si avvicina perché la liquidità in giro per il mondo, cresciuta di oltre 10.000 miliardi di dollari dal 2009 ad oggi a seguito degli interventi delle banche centrali, sta iniziando a ridursi e il vecchio adagio che i mercati corrono perché altrimenti quell’eccesso di liquidità non saprebbe dove riversarsi sarà messo alla prova: l’entusiasmo dei mercati si propagherà agli investimenti produttivi che generano vero valore oppure imploderà insieme alla riduzione degli impieghi delle banche centrali?

Qui gli analisti finanziari divergono profondamente dai commentatori della maggior parte dei media: secondo i primi il mix di efficientamento delle pubbliche amministrazioni e di elevate ricadute delle nuove tecnologie ha una certa probabilità di aprire all’umanità nuovi orizzonti; secondo gli altri il rimescolamento dei poteri che sta consumandosi nel mondo aprirà le porte a maggiore instabilità e dunque ad un minor livello di investmenti, chiave di volta per la generazione di futuri maggiori livelli di reddito e di consumo.

Come spesso accade la verità sta nel mezzo, ma non è difficile immaginare quali giganteschi interessi economici vengano toccati dall’uno o dall’altro scenario…

Stefano di Tommaso