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Luxottica si fonde con Essilor: il controllo passa in Francia ma il principale azionista è italiano

La notizia è di quelle che faranno eco per parecchio tempo: la Luxottica (fondata nel 1961 da Leonardo Del Vecchio) si fonde con la francesissima Essilor (una vera e propria public company risultante da una lunga serie di aggregazioni precedenti, gestita da un management completamente autonomo rispetto ai propri azionisti) raggiungendo la vetta astronomica degli €45 miliardi di valore della “combined entity” (la risultante della fusione).

L’operazione (uno dei maggiori “mergers” mai realizzati in Europa) è stata annunciata ufficialmente nel fine settimana, prima dell’apertura dei mercati finanziari e, tutto sommato, per chiunque la osservi, è una buona notizia, dal momento che in un macrosettore -quello della moda e degli accessori- dove noi “europei” (se ancora è lecito usare questa terminologia) siamo leaders, si consolida un gigante che nel 2016 arriva a fatturare circa €16 miliardi e occupa approssimativamente 130.000 persone (distribuite più o meno a metà tra l’uno e l’altro gruppo ma con lieve prevalenza dì Luxottica nel fatturato, nel valore e nel numero di dipendenti).

Questo gigante vede l’unione tra la francese Essilor, leader mondiale nella produzione di lenti ottiche e titolare di brevetti come “varilux” o di licenze come “Kodak”, e l’italiana Luxottica, che annovera marchi di proprietà (Rayban, Sunglass Hut, Oakley…) e in licenza, di grandissima notorietà.

La fusione è destinata a riconfigurare completamente il sub-settore dell’occhialeria che, in totale, assomma nel mondo un giro d’affari di circa $100 miliardi e cresce ogni anno ad un ritmo impressionante (è prevista per il settore una crescita annua di almeno il 2,5% da qui al 2020) è stata preferita da Del Vecchio a quella -similare- con la concorrente tedesca Zeiss, da tempo candidata anch’essa al matrimonio con Luxottica.

Il principale fattore di crescita dell’industria degli occhiali è senza dubbio quello demografico, innanzitutto per il fatto che si calcola che il 63% dei 7,3 miliardi di abitanti sulla terra abbia ancora bisogno di acquistare supporti per la corretta visione e circa 2,5 miliardi di abitanti non possono ancora permetterselo. In secondo luogo per la prevalente crescita della domanda asiatica di beni di consumo come questi, spesso legati ai più famosi marchi di fabbrica, accessori che aiutano le nuove generazioni a definire il loro “stile di vita”.

L’operazione di aggregazione configura quindi un nuovo soggetto economico, leader mondiale del settore, che ha le risorse e le dimensioni per approcciare il mercato in modo completamente diverso dal passato, in uno dei pochi campi dei beni di consumo che non ha ancora visto la predominanza della Cina tra i suoi produttori.

Sin qui le considerazioni più ovvie, mentre quelle più controverse (ad esempio: chi comanderà davvero, adesso) lasciano luogo per il momento soltanto a qualche supposizione:

– da una parte sembra infatti chiaramente configurarsi una prevalenza francese della nuova entità, anche per il fatto che Leonardo del Vecchio che più di un anno fa sembrava essere sceso al di sotto del 30% di Luxottica (e invece poi ne apporta il 62% alla fusione) e da tempo si poneva la problematica della sua successione al vertice;

– dall’altro lato il medesimo Del Vecchio, un anziano ex-operaio ancora molto in forma e perciò difficile da classificare come il classico capitano d’industria che si è messo in pensione, ha maturato una lunga e travagliata storia di conflitti con i dirigenti della propria azienda (e licenziamenti in tronco) e resta di gran lunga l’azionista singolo di maggior peso all’interno della nuova società (oltre il 30%). Avendo egli accumulato negli ultimi decenni una propria ricchezza familiare di assoluto rilievo e divenendo “PDG” (presidente e direttore generale) tanto quanto Hubert Sagnieres (quello di Essilor) del nuovo gruppo, non può dunque di fatto escludersi una sua futura influenza dominante nella governance societaria, nonostante i probabili accordi odierni, tesi ad assicurare tranquillità al futuro management congiunto.

Per il momento dunque chi pare rimetterci di più è l’Italia, che sembra perdere ancora un altro pezzo pregiato della propria imprenditoria e vede spostare oltre confine un’altra plancia di comando delle proprie attività industriali ma, con il peso di stragrande maggioranza relativa che Del Vecchio assume all’interno del nuovo gruppo, non sono da escludere dei clamorosi colpi di scena, che per una nazione come la Francia, da sempre gelosissima della nazionalità delle proprie aziende, sarebbero vissuti come un dramma nazionale!

Stefano di Tommaso